La vicenda giudiziaria di Gianmarco De Pieri, accusato di oltraggio allo stato per aver definito pubblicamente omertosi e pericolosi alcuni militari dell’Arma dei Carabinieri, ci interroga come cittadini prima ancora che come militanti di uno schieramento politico.
Facciamo un passo indietro:
Il 12 ottobre 2011 il reparto mobile è schierato di fronte ai manifestanti nei pressi della Banca d’Italia. Una manganellata rompe i denti a Martina, che denuncia le lesioni subite.
Indaga la Procura che si scontra subito con un problema: tra i colleghi nessuno parla, nessuno sa chi sia stato. Meriterebbe approfondimento la questione dell’obbligo del pubblico ufficiale di comunicare la notizia di reato che forse avrebbe imposto agli agenti di denunciare le condotte del violento collega, proprio in ragione della qualità di pubblici ufficiali, che oggi si vuole oltraggiata da De Pieri.
Anche di fronte agli appelli che la città rivolge agli agenti presenti il muro non cade.
La scrupolosa visione di foto e filmati permette di rintracciare il responsabile, il solo con lo scudo rotondo tra tanti scudi quadrati. Un anno e mezzo dopo l’agente viene giudicato e condannato. Accertata, dunque, la condotta violenta e censurata quale delitto.
Pochi giorni dopo i fatti, nel corso di una manifestazione, le frasi incriminate.
Dichiarava De Pieri di avere paura del Reparto Mobile perché al suo interno vi erano persone pericolose che picchiavano gratuitamente accanendosi in particolare con le ragazze. Nessun oltraggio all’intero corpo, ma solo il riferimento a chi, poi, sarebbe stato condannato per le violenze perpetrate ai danni di una ragazza.
Affermava, poi, che all’interno del reparto mobile regnava un clima di omertà, come nella mafia. Anche in questo caso, alla luce del fermo rifiuto degli agenti a collaborare all’accertamento di responsabilità poi rivelatesi consistenti, l’espressione fotografa il vero.
Non possiamo negare il nostro coinvolgimento umano data la vicinanza che tutti noi abbiamo verso Gianmarco, co-presidente dell’associazione Coalizione Civica. Ma al netto delle relazioni personali, il garantismo dal quale muoviamo non è aprioristico e di bottega perché i fatti che compongono l’accusa sono ormai acclarate verità processuali: la violenza gratuita con cui il carabiniere colpiva al volto una giovane manifestante è stata condannata come tale da un tribunale dello Stato, così come la condotta dei suoi colleghi che hanno provato in ogni modo a intralciare il lavoro degli inquirenti.
Della vicenda resta la necessità di riflettere su una fattispecie delittuosa, quella dell’oltraggio che permette all’accusa di decidere, quantomeno finché il giudizio non l’abbia smentita, quale critica sia ammissibile e quale critica sia oltraggiosa, quali soggetti possono permettersi la critica e quali trasmodino nell’oltraggio, in quali ambienti e circostanze la critica sia consentita e in quali altri no.
La questione si attaglia al caso Gianmarco De Pieri, le cui espressioni non hanno avuto conseguenza alcuna sul contegno degli agenti e sull’espletamento della funzione cui erano chiamati a svolgere.
Per concludere, ciò che noi di Coalizione Civica vorremmo esprimere, non è la semplice dichiarazione di solidarietà, che rischia di finire fagocitata nello stesso schema di contrapposizione di parti fuori dal processo, perchè questa vicenda non riguarda soltanto Gianmarco, Martina e chi sta loro vicino.
Vorremmo che il prossimo Parlamento votasse finalmente una legge sulla tortura,
vorremmo che le forze dell’ordine fossero facilmente identificabili,
vorremmo che lo Stato prevedesse un forte investimento nella formazione dei tutori dell’ordine,
vorremmo che il mestiere di tutore dell’ordine richiedesse un’alta qualificazione e competenze in mediazione culturale e sociale,
vorremmo che il loro operato fosse veicolo di valori fondativi della nostra nuova società come il multiculturalismo e la tutela del bene pubblico.
Coalizione Civica vorrebbe tutto questo perchè convinta che renderebbe migliore la vita dei cittadini, e contribuirebbe in modo decisivo a rivalutare l’impegno dei tanti servitori dello Stato che svolgono il loro lavoro in modo etico e democratico.