Quale diritto d’espressione? Pensieri neri sulla “razza bianca”.
Pedalo velocemente verso Làbas dopo telefonate di cittadini preoccupati e immagini di attivisti feriti.
Il quartiere è completamente sequestrato: polizia, carabinieri e digos schierati davanti a tutti gli accessi che portano al Baraccano, dove di lì a poco si svolgerà l’iniziativa organizzata dalle destre.
Arrivo nei pressi del dispiegamento delle forze dell’ordine.
Chiedo di entrare, voglio vedere con i miei occhi questa iniziativa che da giorni viene difesa da Forza Italia che si appella alla libertà di espressione.
Dopo una lunga discussione con la digos e solo dopo che gli agenti “hanno avuto il permesso degli organizzatori”, riesco a entrare. Ricordo, per chi non lo sapesse, che stiamo parlando di uno spazio del quartiere, un luogo istituzionale, non di un circolo di Forza Nuova.
Entro, ma solo dopo alcuni avvertimenti rivoltimi da un ex consigliere, pronunciati davanti agli uomini della digos: non devo permettermi di parlare, non devo permettermi di provocarli.
Un minuto dopo entro nella sala stipata, che osservo silenziosamente dal fondo.
L’evento viene di fatto interrotto dal mio ingresso, perché quello stesso ex consigliere che mi aveva intimato di tacere, prende la parola e indicandomi dice: “Abbiamo il piacere di aver con noi la consigliera Emily Clancy di Coalizione Civica, una di quelle che non ci vuol far parlare”.
Tutte le persone presenti in sala si girano verso di me. Tutti uomini. Tutti mi fissano: dai ragazzi con i capelli rasati ai signori incravattati, tutti vestiti di nero. Conto solo tre o quattro signore in tutta la sala.
Sempre l’ex consigliere continua: “Vede noi invece la accettiamo, be’ venga qui, si sieda pure no? C’è un posto in prima fila.”
Non cedo alla provocazione, ribadisco che sono lì per vedere che succede e chi fanno entrare (nessuno) visto che hanno preteso una sede istituzionale e che tra poco me ne andrò.
In cuor mio penso che la “presentazione” sia stata un avvertimento al pubblico per metterlo in campana, per avvertire della mia presenza. Immagino, ora, solo una secca narrazione storica dell’assassinio di Sergio Ramelli.
Mi sbaglio. I minuti a seguire posso annoverarli tra le esperienze più nauseanti della mia vita, come se mi fossi trovata per un attimo in una spaventosa distopia.
Uno dei relatori riprende il suo intervento:
“…il loro odio, odio antifascista, che ci impedisce di esercitare il nostro attivismo – applausi – …perché noi abbiamo diritto ad esprimere questo nostro grande amore, amore per la nostra patria – applausi – amore per ciò che siamo, per COME SIAMO NATI, amore per LA NOSTRA ETNIA, LA RAZZA BIANCA!”
Tutto diventa un po’ ovattato, il cuore pulsa forte, mi sale la nausea tra gli applausi scroscianti a conclusione dell’intervento. Mi guardo attorno: circondata da pensieri neri di uomini vestiti di nero sulla razza bianca, in una sede istituzionale a Bologna.
Ho sentito abbastanza. Esco, mi gira la testa. Un consigliere regionale cerca di polemizzare, continuo a camminare, passo davanti a file di agenti, torno a Làbas e lì la distopia inizia a svanire.
La comunità di Làbas si stringe attorno a Enrico che grazie alla carica del pomeriggio ha il braccio ingessato e un osso dell’avambraccio rotto. Le famiglie di LàBimbi discutono dell’accaduto con i ragazzi di Accoglienza Degna e dei mercati contadini: si pensa ancora una volta a come stringersi attorno a quella che è diventata la vera anima del quartiere Santo Stefano.
C’è tanto bello davanti a me, il cuore e la mente sanno di stare dalla parte giusta.
Ma nelle orecchie mi ronzano gli applausi di approvazione all’apologia della razza bianca, ovazioni protette e ospitate in una sede di quartiere della mia Bologna.
Credo sia arrivato il momento di aprire gli occhi e di continuare a fare ogni giorno quello che la città di Bologna merita: stringerci forte attorno a lei e dialogare con tutti le cittadine e i cittadini praticando sempre i principi di democrazia e antifascismo che l’hanno resa Medaglia d’Oro della Resistenza e per sempre lo faranno.