La questione del supermercato che si vuole costruire in Via Libia presenta 3 obiezioni di merito e 3 di metodo.
Nel merito
- Stiamo assistendo ad una vera e propria “invasione dei supermarket” come ha titolato il Repubblica Bologna. Sette quelli di nuova realizzazione in tutta la città dei quali almeno 4 nel nostro quartiere. L’ultimo è l’Eurospin in Via Del Lavoro. Una situazione che, in questo modo, andrà a gravare su un territorio già densamente insediato con ben 22 tra supermarket, ipermarket, ecc. Soprattutto l’ennesima tappa di una deriva incontrollata. A luglio Confcommercio dava i dati. Dal 2013 si è passati da 360.016 metri quadri occupati da 269 insediamenti a 412.667 nel 2016 con 320 insediamenti. Equivalenti a due poco più di due campi di calcio ogni anno, alla faccia del consumo di suolo, per strutture con una concentrazione di esercizi che li rendono luoghi sempre meno pensati per la spesa alimentare e sempre più per attività dove si svolge qualsiasi tipo di commercio: dalla ristorazione allo shopping di lusso. Tutto questo a danno del tessuto commerciale locale fatto di piccole imprese a conduzione familiare che non riescono a competere sul terreno dei costi e dei prezzi.
- Gli insediamenti della grande distribuzione organizzata non portano automaticamente lavoro buono e sono spesso al centro di fenomeni di illegalità. A testimonianza di questo basta prendere le parole di Stefano Biosa , dirigente della Filcams-Cgil
«Con i consumi della grande distribuzione in stagnazione da anni, l’apertura di nuovi punti vendita in zone già saturate non fa che erodere fatturato e forza lavoro esistente. Per contro, i nuovi supermercati che nascono, quasi sempre fanno ricorso a dipendenti part-time e precari. Non creando ricchezza, ma risparmio sulle spalle dei lavoratori».
Una tendenza pienamente confermata dai giornalisti d’inchiesta Fabio Ciconte e Stefano Liberti, giornalisti di Internazionale, nell’inchiesta Supermercati, il grande inganno del sottocosto.
- Non generano ricchezza, anzi rischiano di essere la classica bolla che scoppia. E lo sa anche il comune di Bologna. Ad aprile 2017 nel periodico report “Le lancette dell’economia bolognese” a pagina 24 si segnalava un segno meno nel fatturato della grande distribuzione:
Nel quarto trimestre 2016 le vendite al dettaglio nell’area metropolitana bolognese hanno fatto registrare un aumento dello 0,6%; entrando maggiormente nello specifico, si vede come l’unica componente ad avere un segno positivo sia il commercio dei prodotti non alimentari (+1,5%), stabile il commercio all’ingrosso, mentre il commercio alimentare e quello della Grande Distribuzione Organizzata sono in terreno negativo (perdono rispettivamente lo 0,7% e l’1,1% rispetto al quarto trimestre 2015).
Nel metodo
- L’unica indagine dell’ARPA ha riguardato la bonifica dell’area da inquinamento da idrocarburi, mentre manca completamente una indagine sulla qualità dell’aria che sarebbe una misura minima necessaria visto che si sta pensando ad un insediamento che aumenterà sensibilmente il traffico di beni e persone
- Per lo stesso motivo desta perplessità la relazione sull’impatto sulla mobilità locale in un contesto già penalizzato dall’essere percorsa da una strada di raccordo piuttosto trafficata come Via Libia e da un reticolo interne poco adatte all’afflusso e dal deflusso di macchine e furgoni. A questo si aggiunge: come si concilia questo nuovo carico con quello che arriverebbe da un insediamento poco distante come il costituendo FICO?
- Manca una relazione sulla valutazione dell’impatto sociale prodotto dall’eventuale chiusura dei piccoli esercizi. Valutazione su un fenomeno che alla luce di quanto argomentato in precedenza rischia di essere piuttosto consistente e di modificare in maniera permanente il tessuto sociale e la vivibilità del quartiere
Durante il question time di maggio l’assessore Orioli ci disse diverse cose, ne vogliamo riprendere due
- che il comune può far poco a causa del recepimento della direttiva Bolkestein in Italia e delle liberalizzazioni introdotte in italia con le “lenzuolate” di Bersani ed il “Salva Italia” di Monti. Ma nessuna di queste obbliga il comune a concedere automaticamente un cambio di destinazione d’uso. Soprattutto non obbliga a fare errori come quello dell’ex Tre Stelle a poche centinaia di metri da lì, area commerciale abbandonata e degradata per la quale il comune continua ad incontrare i proprietari senza avviare alcuna iniziativa di risanamento e con l’unico effetto visibile di aver privatizzato uno spazio della città che poteva essere usato per l’interesse pubblico. Come rischia di essere anche lo spazio in Via Libia
- Che rispetto al tema legalità il comune avrebbe vigilato a tempo debito, quando sarebbero partiti i lavori. E tuttavia è compito della politica rendere chiari i propri rapporti e le proprie scelte di fronte a notizie che qualunque cittadino può verificare in rete e che riguardano Antonio Tassone, primo acquirente del terreno di via Libia con la Tassone srl poi passata ai figli, condannato nel 2011 in primo grado in un processo per tangenti che riguardavano un cambio di destinazione d’uso per la costruzione di un supermercato a Castel Mella nel bresciano. E’ compito della politica interrogarsi quando quest’anno il tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Lidl Italia s.p.a. “in relazione alle direzioni in cui si è realizzata l’ infiltrazione mafiosa” in Lombardia e Sicilia. E’ compito della politica soprattutto in un territorio dove le prime condanne nel processo Emilia hanno messo in luce proprio lo scarso controllo delle amministrazioni locali.
Tutto questo ci sembra sufficiente per chiedere che non ci sia un cambio di destinazione d’uso per Via Libia, che le opere pubbliche promesse vengano confermate ed ampliate con la partecipazione di cittadine e cittadini e che ci sia una generale moratoria su tutti i nuovi insediamenti di questo tipo in città