Una delle mie identità per più di 10 anni è stata quella di direttore di un carcere minorile . Tutt’ ora mi occupo per professione di emarginazione sociale e giustizia minorile, in questa città, nella quale vivo da 30 anni.
Stasera vorrei solo raccontarvi il perché io ho firmato l’ appello di Coalizione Civica e ho deciso di impegnarmi per costruire il suo programma fino alle prossime Elezioni Amministrative a Bologna.
Anzitutto perché, come diceva qualcuno, odio gli indifferenti. E siamo in un tempo nel quale, se rimani solo a guardare , rischi di diventare indifferente. E’ un tempo nel quale si devono tirare fuori dalle tasche le mani , ma non per picchiare…Per costruire.
Costruire città, comunità, felicità collettive.
E poi perché ho potuto sperimentare personalmente, anche se con poche risorse, il successo dell’ applicazione di modelli sociali o educativi differenti dall’attuale, che produce un eccesso di emarginazione e violenza, rendendo difficile la vita dei più.
Sono i modelli della mediazione, dell’integrazione, della riduzione del danno, dell’ orchestrazione di sé ( un concetto questo che non è immediatamente chiaro, lo so, ma che al termine di questo discorso, lo sarà se riuscirò a farmi seguire fino in fondo…).
E dunque so che un’ altra città, più vicina e vivibile per tutti, è possibile. Ed è questa città che vogliamo costruire con Coalizione Civica.
Intorno al carcere, alla sua storia e funzione, sono state scritte intere biblioteche.
Il carcere non è, come certa letteratura di genere ama mostrare, un mondo a sé con regole e retoriche diverse e distanti dai mondi sociali esterni bensì la sintesi, portata sino alle estreme conseguenze, del mondo che lo circonda. Il carcere è lo specchio, neppure troppo deformato, del mondo cosiddetto normale.
Questo, chiaramente, non significa che tra dentro e fuori non esistano differenze ma, più realisticamente, che le regole e i modelli della prigione sono i medesimi della società circostante. Parlare del carcere, quindi, significa parlare dei modelli sociali nei quali siamo immessi.
Per iniziare a comprendere il mondo della prigione di oggi,e dunque il mondo “fuori” , dobbiamo sommariamente prendere in esame il modo in cui è stata posta negli ultimi anni la “questione sicurezza”. Penso sia noto a tutti come, da molti anni, le retoriche relative alla sicurezza insieme a tutte le autentiche ossessioni che si portavano appresso, siano una delle argomentazioni politiche di maggior rilievo. Su di queste, indipendentemente dagli schieramenti politici, sono state costruite intere fortune pubbliche. Specialmente in prossimità di un qualche evento elettorale ogni candidato non ha fatto mai mancare la sua proposta finalizzata alla messa in sicurezza delle città e, in contemporanea, ogni governo o amministrazione in carica, in prossimità della scadenza del mandato, proprio sulla “questione sicurezza” veniva messa alla berlina dalle forze all’opposizione. Organi di stampa e media, nel frattempo, facevano a gara per mostrare e documentare l’insicurezza e la paura che attanagliava il cittadino medio. E’ un quadro che corrisponde alla realtà?
Un dato assodato nella letteratura criminologica contemporanea è il vertiginoso aumento negli ultimi 20 anni della popolazione carceraria( 35.000 persone nel 1991 e 66.000 nel 2012) , in tutti i paesi occidentali a fronte di una significativa riduzione dei reati denunciati più gravi, come l’ omicidio, nonché di quelli dal forte impatto mediatico, come la rapina e il furto in abitazione ( Istat, Rapporto annuale 202. La situazione del paese pp.151-153 ).
Cosa è cambiato allora negli ultimi 20 anni che ha portato a usare così massicciamente il carcere a fronte di una diminuzione dei reati? La risposta condivisa degli specialisti è che : l’ esclusione sociale ed economica tende ad essere governata non più da politiche di welfare ma attraverso processi di criminalizzazione della povertà.
E infatti in galera non ci sono prevalentemente mafiosi, corrotti, o stragisti, ma POVERI O MALATI SOFFERENTI DI MALATTIE PSICHICHE.
Dunque, ricapitolando, questo mondo produce molta esclusione economica e sociale alla quale provvede con minori politiche di cura e maggiore incarcerazione. Attraverso il carcere rimuove e occulta il problema.
E allora come possiamo fare per invertire questa realtà ? ( perchè se è stato possibile cambiare il volto della società una volta con determinate politiche, possiamo anche
cambiarlo con altre politiche. Non esiste MAI UNA SOLA VIA.)
Certo anche io voglio vivere in una città sicura. Ma cos’è per me una città sicura? E’ quella dove ciascuno ha un tetto sulla testa e un cielo sopra il tetto;
E’ una città antifascista che sa tenere a bada ogni nuovo fascismo; E’ una terra di tutti abitata da tanti e non una terra di nessuno abitata da tutti. È una città
dove un ragazzo di 18 anni che esce di galera perché ha scontato il suo furto di alimentari, e non ha uno straccio di genitori che lo accolgano perché lontani in un altro paese, né una casa dove andare, né che cosa mangiare, sa di poter trovare persone con cui parlare, pane da mettere sotto i denti , ragazzi che gli insegnano l’ italiano; in un determinato luogo gestito da volontari e messo a disposizione del Comune.
Una città dove i più deboli possano contare su un sistema d’ accoglienza e protezione da parte delle istituzioni pubbliche e di solidarietà da parte cittadini,dove il mercato del lavoro non produca sfruttamento e il caporalato non trovi campi fertili;
Dove la mafia non sia favorita da atteggiamenti collusivi o indifferenti di nessun amministratore;
Dove i servizi sociali possano occuparsi di ciascuno nella sua interezza, e non spezzettando il bisogno fra mille uffici, rimandando a mille impiegati diversi la soluzione
che quando poi arriva…il bambino è già perduto…e i genitori pure.
Dove le generazioni si conoscano, si parlino e si aiutino a vicenda così che ciascuno non faccia paura all’altro ma sia la sua risorsa.
Dove le diversità, donne, uomini ,bambini, adolescenti ,vecchi, single o coppie, stranieri o italiani…insomma :Persone, possano incontrarsi in luoghi comuni ,( magari nel parco o nel giardino o nella biblioteca, o nella propria via, o nella scuola aperta anche di sera, del proprio quartiere e non divisi per categorie ) così da integrarsi e non da dis-integrarsi;
Dove non sono gli ipermercati i luoghi più voluti e progettati dal Comune come spazi di socializzazione…, ma i giardini , le scuole, le biblioteche,magari cogestite fra genitori, alunni, associazioni ossia pezzi vivi di città;
Dove esistono luoghi e persone che di mestiere fanno i mediatori di conflitti, come in molte altre città europee, e s’ investono soldi su questo e meno su sistemi di controllo o repressione;
Dove si pensa ad un arredo urbano, sia del centro che delle periferie, funzionale alle persone che lo abitano, ai loro bisogni, compreso quello della bellezza e della gestione della rabbia, o del tempo vuoto e che al contrario, non suscitino rabbia o aggressività o tempo vuoto, o bruttezza;( fontane, bagni, sale di musica o di lettura)
Dove si sa far festa senza sprechi, danni, o chiusure di cancelli;
Dove madri, donne, uomini, studenti, bolognesi da generazioni o da dieci minuti ,arrivati da altre città d’Italia o da altri paesi del mondo, possano sapere di essere in un luogo e con delle persone che li proteggeranno da chi li vuole sfruttare o li considera nemici ;
Dove chiunque e ciascuno possa essere messo in grado di dare agli altri quello che sa : il senso di appartenenza ad una città, si sviluppa con la possibilità di dare il proprio “apporto” e, quando una cosa la vedi tua perché anche tu hai contribuito a crearla, non ti viene voglia di sporcarla o distruggerla;
Dove la polizia municipale non deve salire sull’autobus e fare la faccia cattiva, ma a salirci è un mediatore culturale o uno studente universitario che, magari in cambio di un biglietto gratis, fa un accompagnamento presso un servizio pubblico attrezzato a dare informazioni o soccorso, ad una persona disorientata, straniera nella lingua o nelle convenzioni sociali;
Dove sono prevalenti le opportunità piuttosto che le esclusività e le esclusioni: questo è il cosmopolitismo vero. Non è l’ amore per il turista che paga, è l’ amore per ciascuna persona in quanto tale, in quanto cittadino del mondo e dunque anche mio concittadino;
Dove le regole sono chiare, partecipate, e condivise con tutti gli strumenti possibili e non ficcate in testa a forza di divieti o con le manette ;
Dove chi ha un’ idea buona per far vivere spazi della città morti o abbandonati, un tempo vivi , può ricevere dal Comune aiuto per organizzarli, progettarli, realizzarli senza bisogno di avere come prerequisito ,una tessera di partito;
Dove è il trattamento che si riserva alle differenze che… fa la differenza;
Dove la misura del benessere è il sorriso di chi si incontra, perché magari può contare sul reddito di cittadinanza, o sulla collaborazione che riceve nel trovare indicazioni necessarie a organizzarsi l’ esistenza con pochi euro in tasca per vivere;
Una città sicura è come una brava mamma, mi ha detto qualcuno: ti protegge quando hai bisogno, perché sai che c’è e ci sarà sempre. Ma non ti opprime con le sue paure perché sa e vuole che tu cresca bene. Libero. Capace di trovare la tua strada nel mondo con gli altri, per gli altri. Perchè sa che se tu cresci la città cresce.
Quali sono le parole chiave per un cambiamento di prospettiva come questo? Ci danno delle indicazioni importanti due grandi studiosi , che penso molti di noi conoscano.
Le ricerche dell’economista Amartya Sen e della filosofa Martha Nussbaum , con linguaggi diversi, convergono nel mettere in relazione reciproca il concetto di dignità con quello di capacità. (cit. A. Ceretti)
Per Nussbaum le capacità sono le risposte alla domanda: che cos’è in grado di fare o di essere questa persona?”
Il rispetto della dignità umana richiede che in una società decente e civile tutti raggiungano un adeguato livello di capacità in dieci sfere considerate centrali nella vita di ognuno:
– vivere una vita degna;
– godere di buona salute;
– potersi muovere liberamente;
– essere in grado di usare pensiero e immaginazione,
– crescere in ambienti che proteggano lo sviluppo emotivo;
– essere in grado di programmare la propria vita;
– potersi impegnare per se e per gli altri;
– essere in grado di vivere in relazione con il mondo animale e vegetale;
– saper ridere e giocare;
– poter partecipare attivamente alle scelte politiche.
In fondo se ci fate caso, sono tutte cose contenute nella nostra Costituzione.
Io voglio costruire insieme a voi, una città cosi. Io credo che un governo, sia esso nazionale che cittadino, deve sostenere attivamente le capacità delle persone ovunque esse si trovino, nelle periferie, nel centro o persino in carcere, e che non debba limitarsi a non frapporre ostacoli per la loro realizzazione.
Mi sembra già di sentire qualcuno in sala che pensa o dice: la città dei sogni , dunque, irrealizzabile.
Ecco: ciò che rende irrealizzabile qualcosa nella vita, è l’ assuefazione al dato di fatto, come alla droga.
E allora parliamo di un progetto impossibile fra i tanti nel mondo, che è stato realizzato e che ha dato origine a un profondo cambiamento di città. E’ un modello molto noto proprio perchè nasce da un sogno. Ve lo racconto:
Il modello è conosciuto in tutto il mondo come : Il sistema nazionale di orchestre giovanili e infantili, meglio noto come EL SISTEMA di ABREU.
Questo sistema nasce in un garage della Candelara, uno dei quartieri poveri della capitale del Venezuela dove il Maestro Antonio Abreu ( musicista ed economista ) consegna uno strumento musicale a 11 bambini, insegnando loro a fare musica.
L’ intuizione di Abreu è stata quella di affrontare il problema delle sofferenze urbane fuori da una logica assistenziale e caritatevole dotando le persone di capacità. ( cit. A. Ceretti)
“Il maestro ha individuato fin da subito l’ orchestra quale microcosmo di una società ideale, il luogo di elezione per l’ offerta di eguali opportunità, una via di riscatto esistenziale per i ragazzi dei quartieri più degradati e miseri.”
El Sistema oggi coinvolge più di 350000 giovani e bambini provenienti in massima parte, quasi al 90% da famiglie povere o emarginate, e opera attraverso la musica, come mezzo che rende possibile l’ integrazione sociale di differenti gruppi della popolazione venezuelana.
“La pratica collettiva in un’ orchestra genera così cittadinanza, speranza, gioia e allegria; apre orizzonti, offre occasioni per apprendere partiture sociali, ovvero le regole di rispetto reciproco, all’interno di un contesto di fiducia, ove il senso della propria umanità si rafforza nel riconoscimento dell’altro”
E’ questo che s’ intende quando si parla di diritto all’orchestrazione di sé.
E’ questo che io intendo per fare politica e governare una città.
Termino con una frase di un nostro grande concittadino,amato in tutto il mondo e non ancora abbastanza ringraziato e ricordato dai Bolognesi,Claudio Abbado, che io ho avuto il dono di incontrare a casa sua, per concordare il suo impegno e quello della sua Orchestra nel carcere minorile,impegno che ha onorato come si conviene ai grandi e che continua ad onorare attraverso sua figlia Alessandra: “ La povertà più grande non sta nel non avere un pezzo di pane o un tetto, ma nell’essere un individuo isolato, che non fa parte di alcuna comunità e che non ha obiettivi. In una parola nell’essere “ nessuno”. In Venezuela ora la musica è un bene comune, come l’ acqua.”
E’ con questo impegno instancabile, questa tensione morale, questa fiducia che sarà possibile andare oltre le paure, con Coalizione Civica. Verso una città sicura perché solidale.