Sono stati i “giovani leoni” della giunta Merola.
I promotori instancabili di quella scossa di “innovazione” che, allo stesso tempo, ha reso il centro storico una norcineria a cielo aperto ed ha paralizzato e congestionato la circolazione nel resto della città, cominciando, per buona misura, dai viali di circonvallazione.
“Se costruiamo (solo) più strade – ha scritto di recente Andrea Colombo – , avremo (solo) più persone in macchina; se progettiamo stazioni e ferrovie, avremo più persone che si muovono in treno; se progettiamo fermate e linee urbane di filobus, avremo più persone che si spostano coi mezzi pubblici in città; se progettiamo piste ciclabili, avremo più ciclisti”.
Ed è un vero peccato, allora, che stando così le cose nei cinque anni trascorsi questa giunta si sia distinta per l’approvazione di un solo grande progetto infrastrutturale, decisamente orientato ad “avere più persone in macchina” e, è da aggiungere, più merci sui TIR, il Passante di Mezzo, l’allargamento della tangenziale e dell’A14, nonché dei relativi svincoli.
Un vero peccato che, per quanto riguarda stazioni e fermate del Servizio Ferroviario Metropolitano, le ultime realizzate risalgano alla riprovata (e abolita) vecchia Provincia di Bologna.
Un peccato e un beffa, che il “nuovo” filobus Crealis, gratificato da un’inaugurazione anticipata, non sia nuovo né per tecnologia né per tracciati, e altro non sia in realtà che il topolino partorito dall’elefantiaca e torbida vicenda del Civis, di cui restano ahimè granitici relitti, inutili e pericolosi per vetture e pedoni, a ingombrare inutilmente alcune tra le pochissime arterie che consentono collegamenti fluidi all’interno della città storica, ironicamente chiamati cordoli “salvagente”.
E poiché uno dei motti di Colombo è “respirare”, anche la tangenziale ciclabile lungo i viali non è affatto certo che possa essere annoverata tra i successi dell’amministrazione…
Mentre Colombo così si contraddiceva, Matteo Lepore, cavalcando saldamente l’invenzione mitologica di “Bologna city of Food”, ha condotto il turismo in città a “rompere il muro del suono”, e il centro storico si è popolato di un nuovo stuolo d’inconsapevoli foresti divoratori, pronti a credere di assaporare l’ombelico di Venere in persona qualunque cosa venga loro ammannita da improvvisati custodi delle antiche tradizioni alimentari felsinee.
Ora, entrambi i giovani leoni sono candidati al Consiglio comunale nelle liste del Partito democratico, ed è possibile prendere visione dei loro programmi.
Ma mentre Colombo, ripetendosi, insiste nella contraddizione già evidenziata – uno scenario ben più preoccupante emerge dalla lettura delle proposte delineate da Lepore, con il concorso di un buon numero di, più o meno consapevoli, cittadini.
E’ qui infatti che si trova il riferimento a quel “welfare generativo” che implica l’”ibridazione” tra pubblico e privato, il superamento del modello di redistribuzione, in termini di servizi sociali e sanitari, fondato sulla fiscalità generale.
In una parola, quel welfare “generativo” rivolto alla “responsabilità” del cittadino – senza smettere però di metter le mani nelle sue tasche, per oltre il 40 % del reddito prodotto –, che dà oggi un’ottima copertura ideologica allo smantellamento concreto della prestazione sanitaria universale e, per questo via, allo svuotamento di senso dello stesso diritto fondamentale alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione.
La revisione costituzionale approvata dalla maggioranza di governo, si dice, non toccherebbe i Principi fondamentali della Carta, i diritti dei cittadini restano inalterati.
Ma concentrando i poteri sull’esecutivo, e depotenziando ogni ragionevole contrappeso, questa cosiddetta riforma rende agibile a qualsiasi maggioranza, a partire da quella che oggi siede in Parlamento, la facoltà di svuotare di senso quei Principi nella prassi…
Senza attendere il referendum costituzionale, è quel che comincia ad avvenire sotto i nostri occhi, ampi settori economici, in particolare della cooperazione, sono già largamente attrezzati per il cambio di passo che porterà il diritto la salute, a prelievo fiscale invariato, a divenire in modo incostituzionale un diritto legato al censo… L’ultimo rapporto sulla contrazione della speranza di vita è già un segnale eloquente della direzione che ciò che residua del welfare, in questo Paese, va prendendo…
Certo, a fronte di tali massimi sistemi, il mantra che ha segnato l’agire di governo di Lepore nel mandato trascorso, la città del cibo, deve aver perso molto del proprio appeal. Il cibo oggi diviene inaspettatamente marginale, non è più l’epicentro dell’identità di Bologna, dal quale comunicare al mondo l’immagine della città. Che cosa d’ora in poi troveranno da mettere sotto i denti le torme d’ignari turisti non è dato sapere – ma non si tratta solo d’immateriale propaganda…
Ci si chiede che ne sarà di un altro grande progetto (peraltro fisicamente non troppo lontano dal Passante), ovvero FICO, quell’enorme Fabbrica Italiana Contadina che va crescendo sulle vestigia del poco fortunato Centro Angroalimentare, oltre il Pilastro.
Un progetto tanto ambizioso da richiedere tempi ben più lunghi di quelli che hanno richiesto preparazione, realizzazione e celebrazione dell’intero Expo 2015 di Milano – evento con il quale ed in funzione del quale erano all’origine stati definiti molti aspetti di FICO, un progetto che già vede all’opera quella decantata “ibridazione” tra pubblico e privato, tanto da far dubitare della stessa legittimità di proposte come quella di realizzare, per FICO, un apposito collegamento tranviario…
Che ne sarà ora di FICO?, e quali saranno, in particolare per la città e i cittadini, i suoi frutti?