Ieri il nostro Federico Martelloni è intervenuto in Consiglio Comunale, prendendo le mosse da un studio della Camera di Commercio, sulle trasformazioni del mercato del lavoro bolognese che registra un secco travaso di posti di lavoro dal settore industriale al terziario e servizi.
Parte di questo travaso è dovuto all’enorme indotto portato dal turismo in città e dall’avanzata di quella che viene chiamata la “city of food”.
A più riprese come Coalizione Civica Bologna abbiamo tentato di affrontare questo tema, con interventi e proposte, cercando di guardarlo con gli occhi delle lavoratrici e dei lavoratori, spesso giovani, quasi sempre precari.
[Proprio ieri Riders Union Bologna ha incontrato l’Assessore al lavoro del Comune, denunciando, tra l’altro, la mancata applicazione della Carta dei diritti dei lavoratori digitali sottoscritta a Bologna lo scorso 31 maggio].
E abbiamo avanzato alcune proposte finalizzate a rendere Bologna meno diseguale, in una stagione nella quale le politiche urbane possono considerarsi, sotto molti aspetti, alla stregua di nuove politiche industriali.
L’inedita centralità del settore terziario, certo problematica sul versante del lavoro povero e intermittente, offre, al contempo una grande opportunità: quella di usare le leve di cui dispone un’amministrazione comunale per intervenire sulla qualità dell’occupazione e una più equa redistribuzione della ricchezza.
Ad una condizione: che si dichiari finito il tempo degli spot.
Ciò vale per il Governo nazionale, che aveva promesso, ad esempio, d’intervenire sulle condizioni di lavoro dei riders, mentre ancora tentenna e balbetta.
E vale per il Sindaco e la Giunta che hanno giustamente fatto vanto della sottoscrizione della carta dei diritti dei lavoratori digitali, ma che ne osservano non solo la mancata estensione a piattaforme non firmatarie, ma persino la disapplicazione da parte dei firmatari.
Abbiamo dunque richiesto che:
1) l’Amministrazione comunale convochi le Piattaforme e i sindacati entro novembre, come previsto dalla carta, per monitorarne l’attuazione e/o sanzionarne la violazione;
2) l’Amministrazione comunale valuti l’adozione di sanzioni per chi fa uso di lavoro irregolare, ad esempio revocando le concessioni per i dehors;
3) l’Amministrazione comunale valuti la possibilità di stabilire standard di qualità del lavoro – ad esempio uso di lavoro stabile in luogo di lavoro precario – per condizionare al rispetto di quegli standard nuove concessioni, agevolazioni e deroghe.
Nel video l’intervento del Consigliere Martelloni, QUI il testo completo
La città del lavoro
Tra le notizie odierne, c’è un affresco – conseguente a uno studio della Camera di commercio – sullo stato dell’occupazione del contesto bolognese che – come rammentava poc’anzi la collega Angiuli – se da un lavoro descrive un tasso d’occupazione (anche femminile) tra i più alti d’Italia, dall’altro segnala una trasformazione radicale della sua composizione: dalla crisi economica del 2008 ad oggi il settore industriale ha perso quasi un quinto della manodopera (circa 27 mila lavoratori) a favore di terziario e servizi che vedono crescere del 15% il numero di occupati. Oggi a Bologna, quasi 3 lavoratori su 4 (per la precisione il 72%) prestano attività nei servizi, con picchi di crescita occupazionale nei settori legati al turismo e alla esplosione della c.d. city of food (commercio, alberghi e ristoranti).
Segnalo, però, che i settori nei quali si registra il più elevato aumento dell’occupazione sono anche quelli a più alto tasso di frammentazione contrattuale e intermittenza lavorativa, a più breve termine, a più alto tasso di uso (e talvolta) abuso di fattispecie contrattuali precarie, come il job on call o lavoro a chiamata, o formalmente autonome come il lavoro occasionale o il lavoro autonomo con partita IVA (un esempio su tutti, il settore delle consegne di cibo a domicilio).
Insomma mi preoccupa esattamente il contrario di ciò che preoccupa la collega Angiuli. Se lei si mostra turbata dai maggiori vincoli introdotti sui rapporti a termine dal decreto dignità, che ha – solo in parte – invertito la tendenza alla completa liberalizzazione prodotta col Jobs Act, io sono preoccupato per ragioni diametralmente opposte ossia per l’espansione di un settore ad alto tasso di lavoro precario, povero e a scadenza.
Ciò induce due elementi di riflessione:
in primo luogo Bologna segnala e, in certa misura, anticipa una tendenza planetaria, confermata da tutti gli studiosi dei mercati del lavoro: diminuzione dell’occupazione nel settore industriale – che continua ad essere, anche qui, quello a più alto valore aggiunto – e aumento dell’occupazione nei servizi; in secondo luogo, con specifico riguardo alle economie metropolitane, si segnala uno spostamento dell’occupazione – oserei dire della ricchezza – su settori e ambiti che hanno molto a che fare con le politiche urbane. Ciò dovrebbe suggerire – a mio sommesso avviso – di iniziare a considerare le Politiche urbane alla stregua di nuove politiche industriali.
E dovrebbe spingere a riflettere sulla Necessità di reinventare alcuni degli strumenti nelle disponibilità dell’AC per perseguire obbiettivi di giustizia sociale, se davvero vogliamo fare di Bologna la città meno diseguale d’Europa.
Insomma, si può qui individuare anche una grande e inedita opportunità: quella di intervenire sulla qualità dell’occupazione e una più equa redistribuzione della ricchezza.
Ma ad una condizione: che si dichiari finito il tempo degli spot.
Ciò vale per il Governo nazionale, che aveva promesso, ad esempio, d’intervenire sulle condizioni di lavoro dei riders, mentre ancora tentenna e balbetta.
E vale per il sindaco e la giunta che hanno giustamente fatto vanto della sottoscrizione della carta dei diritti dei lavoratori digitali, ma che ne osservano NON solo la mancata estensione a piattaforme non firmatarie, ma persino la disapplicazione da parte dei firmatari.
Dico allora tre cose e chiudo:
1) L’Amministrazione comunale convochi le Piattaforme e i sindacati entro novembre come previsto dalla carta;
2) L’Amministrazione comunale valuti l’adozione di sanzioni per chi fa uso d lavoro irregolare, ad esempio revocando le concessioni per i dehors;
3) L’Amministrazione comunale valuti la possibilità di stabilire standard di qualità del lavoro – ad esempio uso di lavoro stabile in luogo di lavoro precario – per condizionare al rispetto di quegli standard nuove concessioni, agevolazioni e deroghe”