Era il lontano 2013 quando oltre 80mila cittadine e cittadini bolognesi barrarono a larga maggioranza la casella A al referendum consultivo comunale sulla scuola. In sostanza si espressero con forza chiedendo al Comune di re-investire tutte le risorse disponibili a favore delle scuole pubbliche, statali e comunali (circa un milione di euro), smettendola di finanziare le scuole private paritarie.
All’epoca si parlò di “vittoria ignorata dalla politica” (i soldi stanno ancora tutti li dove stavano prima del referendum), ma a questa politica si può e si deve dare, ora che siamo sotto elezioni, un nome e un cognome ben preciso, Virginio Merola. Non fu né il primo né l’ultimo, ma certo il più grave, degli atti di disprezzo del nostro attuale Sindaco nei confronti della città e della sua lunga tradizione di democrazia e di partecipazione attiva.
Occorre ricordare oggi che Virginio Merola scelse di non indire il referendum in concomitanza con le elezioni politiche, per scongiurare l’affluenza, un comportamento fotocopia di quello più recente del premier Renzi in occasione del referendum sulle trivellazioni. Occorre ricordare oggi che il Sindaco dichiarò pubblicamente, con sprezzante ribalderia, che dell’esito di quel referendum se ne sarebbe altamente infischiato.
Cosa intende dunque Virginio Merola per partecipazione?
Uscendo per un attimo dall’istituto referendario, che pure è una delle massime espressioni di partecipazione democratica, la partecipazione, in senso stretto, è un processo che tutte le amministrazioni dovrebbero promuovere ed incentivare, come pratica di buona amministrazione (la Regione Emilia-Romagna ci mette anche dei finanziamenti). Prevede piena e corretta informazione alla cittadinanza, confronto ragionato tra diverse soluzioni e, alla fine, l’impegno dell’amministrazione all’ascolto delle idee e delle proposte di chi, appunto, ha partecipato.
Certo, la decisione finale spetta al Comune, che può anche discostarsi dalle richieste dei cittadini, ma è necessario motivare il perché delle proprie scelte e assumersene la responsabilità politica difronte alla ragionata contro-proposta di chi quelle scelte le subisce.
Cos’è che non può dirsi partecipazione? Prendiamo ad esempio la campagna attivata da Merola denominata “collaborare è Bologna”. Di cosa si è trattato se non di incontri con finalità prettamente propagandistiche al termine dei quali il sindaco e i suoi sodali si sono impegnati genericamente a tenere in considerazione le proteste e le proposte dei partecipanti? Bella forza, siamo in campagna elettorale…ci mancherebbe pure che un Sindaco mandasse la sua platea a quel paese! Evidentemente lo stesso Merola se ne rende conto e infatti da “partecipazione” passa a “collaborazione”, un po’ come a dire “se le tue proposte mi fanno comodo le prendo su, altrimenti non mi interessa quello che hai da dirmi”.
Viene alla mente l’epoca della riforma Buona Scuola del Governo Renzi (oggi tristemente nota come legge 107), quando venne spacciato per un momento di grande partecipazione democratica un sondaggio on line con domandine astutamente predisposte, al quale rispose una piccolissima percentuale di studenti, genitori e insegnanti, il cui esito rimase ignoto e in ogni caso di totale irrilevanza ai fini della costruzione della riforma (come irrilevante fu il più grande sciopero unitario del mondo della scuola, questo si democratico e partecipato, ma totalmente inascoltato).
Prendiamo ad esempio la “partecipazione” offerta come contentino da Merola lo scorso 2 maggio ai residenti del quartieri interessati al Progetto del Passante di Mezzo, ai Comitati e le Associazioni che da tempo propongono progetti alternativi: cinque mesi di confronto, dice il Sindaco, per arrivare a un progetto condiviso. Ma su una decisione già presa e formalizzata in pompa magna da Renzi stesso qualche settimana fa.
C’è insomma una sorta di filo rosso che lega il comportamento del nostro attuale Sindaco alla politica del governo ed è l’idea che si possano far fesse le persone attraverso piccoli contentini, briciole di decisioni su aspetti marginali, condite dall’illusione di avere voce in capitolo. E’ una politica che si riempie la bocca della parola “partecipazione” ma boicotta, ignora o eventualmente disattende risultati referendari in cui si esprimono migliaia, milioni di cittadine e cittadini. E’ una politica che invita le persone a non andare a votare quando e se ciò è conveniente a livello elettorale. Che, infine, ritiene irrilevanti e sbeffeggia manifestazioni che riempiono le piazze, scioperi che svuotano le tasche dei lavoratori e che si frega le mani aspettando che arrivi il tempo in cui finalmente la smetteremo, noi tutti, di chiedere risposte, di pretendere ascolto, di reclamare diritti e sovranità.
Una politica che ci priva del senso vero della partecipazione e, ca va sans dire, della nostra libertà.