Intervento di inizio seduta al quartiere San Donato – San Vitale del 23 Febbraio 2021
Nei giorni scorsi una interrogazione in regione durante il question time ha rilanciato il tema di una indagine epidemiologica nelle aree interessate dal passante di mezzo tra quali anche quelle del nostro quartiere. Ne è scaturito un dibattito che è passato dal comune dove come Coalizione abbiamo chiesto anche un registro dei tumori aggiornato, per arrivare sulle pagine dei giornali locali dove, per la verità, la questione dell’impatto ambientale e sanitario del passante torna periodicamente. La risposta dell’assessore Orioli è stata “sappiamo che le polveri ed altri inquinanti oltre che il rumore possono avere un impatto sulla salute, e su questi aspetti nel progetto è stata fatta una valutazione specifica. Realizzare su questi aspetti un’indagine epidemiologica comporterebbe un tempo molto lungo e avrebbe poco valore in termini di riscontro di eventuali rischi specifici”. Aggiungendo che c’è in previsione una “sorveglianza in corso d’opera [..] condivisa con l’autorità sanitaria”. L’assessore Mazzanti sul Carlino del 16 Febbraio ha parlato di “dati continuamente aggiornati” dalle “centraline previste”. Ma come ha fatto notare Luca Tassinari dell’associazione A.Mo Bologna, è una risposta debole. Le prime richieste, infatti, risalgono al 2016. Lo so bene perché ho provato a farle approvare senza successo nel nostro quartiere come, invece, ha fatto il Navile che confina con noi. Se fossero state accolte allora, come dimostra Tassinari, ci sarebbe stato un anno di tempo per per farne ben quattro di indagini. Una richiesta possibile anche ora visto che il progetto prevede che ci sia un monitoraggio continuo della qualità dell’aria 12 mesi prima dell’ipotetico inizio dei lavori. Nel frattempo l’indagine epidemiologica è stata chiesta dall’ordine dei medici di Bologna, da Fiorella Belpoggi dell’Istituto Ramazzini che ha fatto anche parte del comitato scientifico per il passate e perfino la AUSL di Bologna che nelle obiezioni del 2017 lamentava le carenze dell’analisi di impatto sanitario ritenendo necessario “un approfondimento dei dati epidemiologici della popolazione direttamente interessata dal progetto”.
Il punto è che una corretta indagine epidemiologica si basa su due pilastri: il rilevamento statistico delle patogie più frequenti nell’area specificata ed un rete di centraline fisse operative ed efficienti. Ed anche su questo ci sono già ora delle perplessità. Come denunciano i comitati le centraline fisse sono previste dal decreto via 5370 del 4 Ottobre 2000. Una richiesta non ottemperata tanto da doverla mettere nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari in risposta all’esposto fatto dai comitati nel 2017. Ad oggi Autostrade deve ancora installare 2 delle 4 centraline previste dal piano di monitoraggio ambientale del progetto, i cui tempi, modi e ubicazione devono essere ancora concordate con ARPAE.
Intanto però è diventata centrale la questione dei ponti sul Reno e sul Savena che ci riguarda perché al confine del nostro territorio. Secondo l’assessore Mazzanti i problemi sono trascurabili perché riguarderebbero questioni di manutenzioni fatte negli anni. Per i comitati, che citano il lavoro dei tecnici del ministero venuti a monitorare su questi ponti dopo la vicenda del Morandi di Genova, il ponte sul Reno non sarebbe a norma secondo la normativa antisismica e quello Savena in caso di alluvione. Per questo vanno abbattuti e ricostruiti e il Ministero dell’Ambiente ha chiesto ad Autostrade di avere tutta la documentazione per fare “almeno” l’assogettamento alla VIA se non si vuole rifare il procedimento da zero. Il problema, infatti, è che questi sono cantieri che andranno ad aumentare il carico inquinante della zona, per di più in siti sensibili quali gli alvei dei fiumi. E il Ministero lo scrive nero su bianco nella nota prot. 95331 del 19.11.2020 “si ritiene che per l’intervento proposto ….. possano sussistere potenziali impatti ambientali significativi e negativi. Questo in relazione, in particolar modo, alla cantierizzazione che prevede interventi insistenti in un contesto territoriale caratterizzato dalla presenza di vincoli di natura paesaggistica e idrogeologica, ed alla relativa articolazione in fasi di cantiere potenziale fonte di congestionamento del traffico, con innalzamento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, se non adeguatamente gestita”. In più Autostrade prevede un ulteriore abbattimento del bosco che passa da 14,6 ettari a 31 che il quale il comune, a pagina 17 della nota tecnica del 8 giugno 2020 dichiara “la disponibilità ad accettare un’eventuale proposta di monetizzazione” non potendo essere comprese nelle “aree boscate di mitigazione e compensazione relative alla realizzazione dell’infrastruttura di progetto”. Insomma accettiamo soldi a 4 Euro al metro quadro perché quegli alberi non potranno trovare posto nello stesso territorio nonostante i buoni proposito della dichiarazione di emergenza climatica.
Oggi il Ministero può ancora decidere le sorti di questo progetto. Se il ministro Cingolani rimane coerente con quello che ha sempre sostenuto pubblicamente rispetto all’importanza di favorire infrastrutture verdi che disincentivano il traffico privato su gomma, il Passante dovrà essere sottoposto ad una nuova procedura di VIA più rigorosa e rispondente ai bisogno di un paese che sta cercando un nuovo modello di sviluppo più sostenibile. Bologna ha bisogno di investimenti per andare in quella direzione come dimostrano il Tram, SFM, car sharing e nuovi percorsi ciclopedonali. Ma già oggi abbiamo il dovere di dare una risposta al diritto alla salute sancito dell’articolo 32 della nostra costituzione. Un diritto messo in discussione come dimostra il 73° posto di Bologna tra le prime cento città Europee dove si muore per inquinamento atmosferico sancito da uno studio recente dell’Università di Utrecht, del Global Health Institute di Barcellona e dal Tropical and public health Institute svizzero. Un effetto deleterio di anni di sviluppo antiecologico ed antisociale lasciato al mercato, soprattutto a danno delle aree più periferiche, che oggi in tempi di nuova consapevolezza per i cambiamenti climatici e nella fase post pandemia ci impone altre scelte.