In vista della seconda “Passeggiata popolare per un’ex caserma Mazzoni bene comune” prevista sabato 27 febbraio, RINVIATA a causa delle restrizioni covid al 20 marzo, proviamo a riannodare i fili di questa lotta.
Nel mezzo della prima fase della pandemia, ad aprile 2020, il Comune di Bologna annunciava la presentazione da parte di Cassa Depositi e Prestiti di un progetto di riqualificazione dell’ex caserma Mazzoni. Ad elaborarlo per conto della proprietà è lo Studio Tasca e Associati, lo stesso della ‘Trilogia Navile’, noto esempio di mala urbanistica.
La prima richiesta di autorizzazione alla presentazione del PUA (Piano Urbanistico Attuativo) poteva sintetizzarsi così: l’abbattimento di 353 alberi per far posto a sette palazzoni da otto piani che avrebbero ospitato 195 appartamenti (di cui 20 ERS) e coperto 22.000mq della superficie di tutta l’area di 47.000mq, un parcheggio per 200 auto di 6.000mq, un centro commerciale di 5.000mq, l’allargamento a doppio senso della storica via delle Armi che da un lato costeggia il canale Savena e dall’altro le storiche mura dell’ex caserma Mazzoni.
Tra le contropartite a favore del Comune di Bologna, erano previsti un parco pubblico di un solo ettaro collocato in mezzo ai palazzoni, la costruzione di una piccola scuola primaria di 2.600mq, finanche l’impegno di CDP di ristrutturare l’asilo nido Rizzoli, abbandonato e in stato di degrado dal 2009, all’interno di Villa Mazzacorati.
Analizzando i documenti, si notava come in sede VALSAT (Valutazione di Sostenibilità Ambientale e Territoriale) l’ARPA esprimeva molte preoccupazioni rispetto l’impatto acustico e il peggioramento della qualità dell’aria, stimando un aumento di oltre 2.000 automobili al giorno attorno l’area dell’ex caserma, pari ad una tonnellata di NO2 all’anno che i cittadini dovrebbero respirare. Inoltre, si richiedeva di rivedere le stime sulla permeabilità del terreno che sembravano fatte su parametri infondati.
Da quel giorno ha preso forma il Comitato Ex Caserma Mazzoni Bene Comune: attraverso assemblee online e in presenza alla Lunetta Gamberini, flash mob, inchieste sugli appartamenti sfitti in quartiere, una petizione con 1.500 firme raccolte in pochi giorni e una manifestazione molto partecipata svoltasi il 21 giugno 2020 abbiamo contestato il forte carattere speculativo del progetto e la scarsa attenzione alla tutela dell’ambiente, proponendo soluzioni diverse.
In un formulario online il Comitato ha raccolto un centinaio di proposte sul cosa potrebbe ospitare l’area dell’ex caserma Mazzoni: la sostanziale totalità dei partecipanti al sondaggio hanno chiesto aree verdi e la tutela della vegetazione esistente, strutture sportive, servizi per tutte le fasce di età, spazi culturali, partecipazione sulle scelte, la massima riduzione possibile dell’edilizia privata.
Dal punto di vista politico, si sono susseguite interrogazioni in Comune, alla Regione Emilia Romagna e persino in Parlamento.
Il Comitato Ex Caserma Mazzoni Bene Comune ha assunto sin da subito posizioni più radicali, soprattutto sull’edilizia residenziale privata, rispetto ad altri che già inizialmente proponevano di ridurre i 195 appartamenti a 140. Per il Comitato questa mediazione era insufficiente e occorreva rivedere più nel profondo ciò che rappresenta il cuore del progetto stesso, ovvero la costruzione di fatto di un nuovo quartiere residenziale, oltre alla richiesta di costruire un parco pubblico molto più grande, di tutelare gli alberi, di salvaguardare e recuperare il canale Savena.
Nei mesi seguenti, sulla base delle osservazioni fatte dai comitati e delle discussioni istituzionali avvenute nel Quartiere Santo Stefano e in Consiglio Comunale, l’amministrazione ha sottoposto a Cassa Depositi e Prestiti delle osservazioni critiche relative alla collocazione dei nuovi palazzi e del parco, dell’estensione dell’area commerciale, della viabilità: tutte migliorie che erano comunque insufficienti e sotto le aspettative della cittadinanza.
Nel gennaio 2021, a lavori di caratterizzazione e bonifica già cominciati all’interno della caserma (tra i quali l’estrazione dei depositi di carburante sotterranei) la proprietà ha presentato un nuovo progetto che raccoglie alcune indicazioni del Comune e dei Comitati: il parco, raddoppiato di estensione, verrebbe collocato dal lato di via delle Armi/via Parisio, mentre i palazzi andrebbero a costituire una sorta di ferro di cavallo a sud-est, lato ferrovia e via Torino. Via delle Armi rimarrebbe sostanzialmente intatta ( e anzi si prevedono lavori di bonifica sul canale Savena), anche se il muro storico della caserma sarebbe abbattuto quasi del tutto e lasciato in minima parte come testimonianza storica.
Tuttavia, anche nel nuovo progetto prevalgono gli aspetti negativi che non possono che produrre una bocciatura: a fronte dei 353 abbattimenti di alberi iniziali si scenderebbe a quota 179, ovvero un impatto ambientale comunque inaccettabile.
Per quanto riguarda le superfici da edificare non si prevede nessuna sostanziale riduzione, pari a oltre 21.000mq su 47.000 dell’area dell’ex caserma. Cambierebbero invece l’altezza degli edifici, che passerebbero da otto a sei piani a causa della vicinanza alla ferrovia e alla caserma del V Battaglione dei Carabinieri, con l’aggiunta di una serie di unità abitative che costituirebbero una sorta di “villette a schiera”.
Nel nuovo progetto vi è poi la riduzione dell’area commerciale da 5.000mq a 600mq, in compenso la proprietà non costruirebbe la scuola primaria né si occuperebbe della ristrutturazione dell’asilo nido di Villa Mazzacorati per il quale nel frattempo il Comune ha siglato una convenzione con la Regione Emilia Romagna.
In sintesi, al netto di alcuni aspetti positivi che non possono essere ignorati, si intende comunque persistere sulla strada della speculazione edilizia e della cementificazione, attraverso un progetto che porterebbe centinaia di nuovi residenti, con le loro centinaia di automobili di proprietà, in una zona già densamente abitata e soggetta al traffico veicolare dell’asse Murri-Toscana.
Preferiremmo quindi che all’ex caserma Mazzoni non si facesse nulla, lasciandola ancora all’abbandono e al degrado? Tutt’altro, ovviamente.
Questo tipo di argomentazione è al contrario la politica del ricatto, figlia di un modello urbanistico che dobbiamo archiviare, per inaugurare una nuova stagione di scelte coraggiose e condivise.
La maggiore sensibilità ambientale della persone, anche a causa della pandemia, è una ricchezza che questa città deve far esprimere fino infondo. Ma lo stesso vale per la sensibilità che Bologna sta maturando sul tema del diritto alla casa: come conciliare quindi la necessità di rispondere alla richiesta abitativa, in modo equo e sostenibile, con quella di tutelare la salute, l’ambiente, la vivibilità dei quartieri?
Costruire nuove palazzi e vendere gli appartamenti a prezzo di mercato non risponde all’esigenza abitativa di giovani precari, studenti, giovani coppie, ovvero le categorie più colpite dalla crisi abitativa. Inoltre, costruire nuovi palazzi tagliando alberi sani e ad alto fusto rappresenta un crimine contro l’ambiente e ripiantarne altri, spesso più piccoli, che forse tra vent’anni matureranno una capacità discreta di assorbire la CO2, significa prendere in giro i cittadini.
Bologna ha bisogno di tutelare il verde esistente e non di compensazioni future utili solamente a perseguire le politiche di cementificazione e speculazione.
Bologna ha bisogno di politiche che incentivino i canoni concordati e un abbassamento generale del costo degli affitti per poter innanzitutto occupare le migliaia di abitazioni sfitte che ci sono in città.
Il ‘peccato originale’ sta proprio nelle scelte del Comune di Bologna, cioè nel POC “Rigenerazione Patrimoni Pubblici” approvato dalla prima Giunta guidata dal Sindaco Virginio Merola: dopo anni di trattative, annunci e smentite, il destino delle principali ex aree militari cittadine (Prati di Caprara, ex caserma Mazzoni, l’ex caserma Masini, l’ex caserma Sani) è stato vincolato ad un’idea che forse poteva essere adatta agli anni ‘80 del secolo scorso, non di certo ad una politica urbanistica moderna. Palazzi, alberghi, uffici, aree commerciali, ovvero il tentativo della massima valorizzazione del mattone.
Per quanto riguarda l’ex caserma Mazzoni, l’unica su cui c’è un’effettiva accelerazione, una parte della politica e dell’amministrazione cittadina ha provato a scoraggiare ogni iniziativa di lotta, affermando che ormai i giochi erano fatti, che il progetto iniziale era meraviglioso, che i comitati avevano un approccio ideologico. La realtà invece ha mostrato che l’approccio ideologico è stato proprio quello della rinuncia, del disfattismo, del provare a convincere i cittadini che la “real politik” presenta ostacoli insuperabili.
L’ex caserma Mazzoni è un bene comune costruito con danaro pubblico, attraverso le tasse dei cittadini e delle cittadine. Il passaggio dal Demanio, ovvero dallo Stato, a Cassa Depositi e Presiti non ha cambiato nella sostanza la natura pubblica di quest’area: CDP è una società per azioni che opera nel mercato come qualunque altra società di diritto privato, ma è controllata per l’85% gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. CDP detiene anche i risparmi postali dei cittadini e delle cittadine. CDP dovrebbe quindi fare gli interessi dello Stato e segue gli indirizzi di Governo, tant’è che anche Draghi dovrà rinominarne l’amministratore delegato. Ma lo Stato non sono solo le sue casse o le banche investitrici, lo Stato siamo anche noi che viviamo in questo quartiere e vogliamo continuare a viverci.
La stessa Cassa Depositi e Prestiti qualche giorno fa ha negato al ‘Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia’, al ‘Comitato ex Caserma Mazzoni Bene Comune’ e al ‘Comitato Per una Nuova Caserma Mazzoni’ la possibilità di effettuare una perizia indipendente sullo stato vegetativo degli alberi e verificare se se le mappature siano complete, negando quindi l’esercizio di un controllo democratico dei cittadini che nel caso dei Prati di Caprara si è rivelato fondamentale.
Tuttavia, non intendiamo abbandonare questa strada anche perché la mobilitazione ha portato degli avanzamenti nel dibattito e ha dimostrato come il progetto possa essere migliorato ulteriormente, tutelando di più il verde, riducendo il livello della superficie costruita e alzando l’incidenza dell’Edilizia Residenziale Sociale.
Insomma non è il momento di accontentarsi ma di rilanciare in avanti le nostre richieste. C’è ancora tempo e si possono raggiungere risultati importanti!
Quando Bologna era nota per la sua “febbre del fare” c’era la capacità di programmare, di immaginare un futuro. Oggi non vorremmo che dietro il “fare” ad ogni costo, solo per poter rivendicare prima della fine del mandato politico il recupero di un luogo abbandonato, si faccia della pessima urbanistica.
L’ex caserma Mazzoni, come i Prati di Caprara e le altre ex aree demaniali potrebbero rappresentare invece l’inaugurazione di una nuova politica urbanistica.
Facciamolo assieme ai cittadini e le cittadine che si stanno mobilitando, per una città migliore.
Detjon Begaj – Consigliere del Quartiere Santo Stefano
Foto di Gianluca Rizzello