Dopo le sospensioni dall’università comminate dal senato accademico dell’Alma Mater, che privano del diritto allo studio alcuni studenti e studentesse che hanno partecipato alle lotte contro il caro mensa e per la libera accessibilità di una biblioteca, molte e ben più gravi accuse vengono imputate ai docenti di due scuole d’Ateneo: quella d’Ingegneria, per il doppio lavoro dei professori a tempo pieno; e quella di giurisprudenza, per corruzione e malaffare nella gestione dei concorsi, nell’ambito di una maxi operazione che ha coinvolto decine di persone in tutta Italia, alcune delle quali bolognesi e di cui un professore di diritto tributario agli arresti domiciliari.
C’è chi già invoca nuovi tagli all’università e alla ricerca, dopo il miliardo perduto in un decennio, i blocchi stipendiali e il drammatico blocco del turn over che ha prodotto una grande fuga di cervelli, assai poco aiutati a casa loro.
E invece no! Perché il de-investimento su università e ricerca è la colpa più grave di cui possa macchiarsi un paese incapace di guardare al futuro: il risultato del de-investimento in università e ricerca è l’espulsione di un’intera generazione di ricercatori dalle università italiane, la consunzione degli atenei fino alla chiusura di corsi di laurea e di scuole di dottorato, il crollo del numero degli studenti.
Intendiamoci: il sistema di reclutamento è, da sempre, malato, conserva logiche feudali, nient’affatto archiviate dalle riforme del 2010 come dimostrano le vicende di questi giorni. La riforma Gelmini del 2010 non ha fatto che trasferire le logiche feudali e tribali su un piano più ampio generale e nazionale, burocratizzandole; non favorendo la qualità e la competenza ma le logiche di scambio; allo studioso, al ricercatore da valutare prima di chiedere “cosa fai” si chiede “di chi sei”.
Il ricatto è il peggior nemico della libertà, che dovrebbe essere invece la prima leva della ricerca. Ma non è l’università il problema: semmai la sua governance; di certo, la sua fustigazione e il depauperamento continuo a cui è sottoposta da decenni.
Continuiamo a pensare, oggi come ieri, che l’università di Bologna sia il più grande dei tesori all’ombra delle torri: è al crocevia tra sapere e innovazione che la città si rigenera, ringiovanisce e respira. È anche lì che si combattono le diseguaglianze, benché, talvolta, lì si acuiscano o lì si producano.
Come Coalizione Civica per Bologna seguiamo con attenzione e preoccupazione gli sviluppi delle inchieste, come ci preoccupano molto le voci che già esplicitamente invocano come medicina un’ulteriore spinta verso la privatizzazione in nome di un “merito” tutto votato alla concorrenza e mai all’eccellenza della ricerca libera.
Ci auguriamo innanzitutto si apra una seria discussione per capire, una volta per tutte, cosa non funziona e come si può correggere perché istruzione Università e ricerca pubbliche e indipendenti meritano di essere considerate l’investimento più importante per il futuro del paese tutto e della nostra città in particolare.