C’è un’immagine dalla quale vorrei partire: quella di un reparto della celere in tenuta antisommossa all’interno di una biblioteca universitaria. Si tratta di un frame, di un fotogramma che tutti, in città, abbiamo osservato e commentato, a casa, sul lavoro, sui social network, in piazza, al bar e, oggi, in Consiglio Comunale: alcuni, magari turandosi il naso, o storcendolo o, al contrario, sollevando entusiasti le proprie bandiere, non potendo sollevare i manganelli, si schierano dalla parte della Questura, condividono la soluzione militare, comprendono il Rettore che l’ha autorizzata, solidarizzano con lui.Altri, dopo aver visto quell’immagine, magari storcendo il naso, magari turandoselo, finiscono per schierarsi con gli occupanti, comprenderne le ragioni, difenderli o in qualche caso condividerne gli obbiettivi, se non le pratiche. Quasi nessuno trova il coraggio di dire chiaramente ciò che quel frame racconta in maniera plastica, platealmente evidente : si tratta della fotografia di un colossale fallimento.Falliscono tutti: la governance universitaria, l’amministrazione della città, la gestione dell’ordine pubblico . C’è forse qualcuno che ritiene di aver risolto un problema? Credo di no. Io credo si debba riconoscere che abbiamo un problema. Ho letto molto in questi giorni, ho molto discusso, ho parlato con studenti, lavoratori delle biblioteche, consiglieri di altre città che condividono problemi analoghi, e, proprio stamane, dinanzi al 36, ho trascorso un’ora con la responsabile della biblioteca universitaria. Ne ho tratto svariate impressioni. Provo ad isolare quelle che mi pare più importante discutere in un Consiglio comunale: la prima impressione è quella di un sovraccarico. È come se, su una vicenda piccola (o relativamente piccola) si fossero scaricati anni di tensioni. Tensioni che hanno a che fare, da un lato, con il rapporto irrisolto tra università e città, dall’altro tra la citta di sopra e la città di sotto (quella delle marginalità, della microdelinquenza, dello spaccio..), le quali – con ogni evidenza – tagliano trasversalmente sia il mondo universitario sia il contesto urbano. Accanto a questo pieno, accanto a questo “sovraccarico”, mi piare di aver scorto un gigantesco vuoto, quasi una voragine: manca lo spazio della presa di parola di quanti vogliono un’università aperta, ma sicura (e magari sono favorevoli ai c.d. tornelli) pur trovando sconcertante una carica della celere in assetto antisommossa in uno spazio dell’università: un inedito sacrilegio, come ha scritto qualche collega. O di quanti hanno profondo rispetto per il lavoro dei bibliotecari e per la sicurezza di tutti i frequentatori dell’università, a partire dagli studenti, ma ritengono che un filtro all’ingresso di una biblioteca non costituisca il modo più corretto ed efficace di affrontare il problema, posto che si tratta, in fondo, del problemi di vivibilità di una zona della città. Un zona dove c’è il 36, c’è Piazza verdi, c’è vita, c’è libertà e c’è negazione della vita, e della libertà. Dunque, la seconda impressione è che manchi uno spazio pubblico di discussione e di presa di parola di cui vi sarebbe enorme bisogno per articolare discorsi, declinare bisogni, differenziare proposte. Svolgere la mediazione sociale dei bisogni e degli interessi cui sono tradizionalmente deputati quei corpi intermedi oggi in crisi, ma in crisi a Bologna meno che altrove: si pensi a ciò che rappresentano in città associazioni come l’arci, sindacati come la cgil, reti sociali come quelle delle donne che si sono raccolte la scorse settinana a discutere in 2000. In 2000 e “non una di meno”. Il terzo elemento di riflessione riguarda la politica, ed è forse il più disarmante. Non solo la politica rinuncia a farsi carico di questa necessaria “mediazione sociale”, rinuncia ad aprire quello spazio, ma, al contrario, cavalca la polarizzazione, la accentua, la alimenta. Pensate alla brillante proposta di andare a cancellare i murales in piazza verdi. Pensate al modo plastico che qualcuno ha escogitato per rendere visibile la “normalizzazione”. Io faccio parte, come tanti tra voi, di quelli che ritengono i richiami al 77 un ottuso sensazionalismo. Ma attenzione non neghiamo di avere un problema, perché sarebbe parimenti grave. Non neghiamo le lacerazioni sociali, l’indebolimento dei corpi intermedi, la perdita di autorevolezza della politica, la sua distanza dalla sofferenza sociale, le pratiche istituzionali di clandestinizzazione, il deficit d’intervento sulle marginalità e sulle tossicodipendenze. Se dinanzi a questa realtà neghiamo di avere un problema, riducendo la questione alla condotta di un “manipolo di sfascisti” (Persiano), ad un “branco di emarginati” (Venturi), ad “una sottospecie di ominidi” (Cocconcelli), in un climax ascendente che individua e vampirizza un “nemico pubblico” per espellerlo dalla città dei giusti e far tornare, così, la pace tra i consociati, sbagliamo di grosso. Sarebbe un autoinganno di cui la storia ci renderà conto. Ve ne prego, non giochiamo al ’77.

Intervento in Consiglio Comunale del 13 febbraio 2017

Coalizione Civica Bologna

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