È estate, le notizie iniziano a mancare. Bologna non è un porto; le MoBike non son tutte finite nel rusco; non sempre diluvia; non capita tutti i giorni che il dramma di un paziente psichiatrico diventi la prova generale di una evacuazione – da quel che ci han detto, forse mai testata prima – alla Casa della Salute Navile. È estate insomma e pure la cronaca locale boccheggia.

Seguendo la questione in maniera approfondita da molto tempo (qui trovate il nostro archivio in merito), abbiamo l’impressione che, nell’affrontare il tema Case della Salute, come si suol dire, si guardi il dito e non la luna. Che si guardi insomma alla portineria troppo rumorosa, alla scala mobile rotta, agli spazi ridotti, agli spogliatoi senza docce e servizi, alle autovetture obsolete, problemi importanti e che ci sono, certo, ma che sono solo una delle facce di un poliedro assai più complesso dal cui nucleo vero discendono, a cascata, tutti le criticità.

Cos’è, o cosa dovrebbe essere, una Casa della Salute? Che cosa è la medicina territoriale, l’integrazione tra i servizi sociali e sanitari, lo sviluppo della comunità professionale territoriale anche in modo proattivo, con tempestività e con continuità dei percorsi di cura e di assistenza, e l’integrazione delle politiche socio sanitari? Che cosa è questo nuovo modo di prendersi cura dei bisogni di salute dei cittadini, che supera, incorporandola, la formula organizzativa del poliambulatorio?
Come è possibile che ce ne siano già 167 di Case, alcune aperte da anni, e che sembrino tutte, ancora un poco troppo, i già superandi Poliambulatori, senza aver sedimentato uno straccio di know-how?
Cosa vuol appunto dire che le Case sono il punto di accoglienza e orientamento per l’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari del territorio, un sistema in rete che consente di intercettare le richieste socio-assistenziali dei cittadini e di soddisfarle in modo appropriato attraverso percorsi multidisciplinari e multiprofessionali, ed infine il nodo territoriale di una rete integrata e omogenea di presidi e di servizi, nei quali si stabiliscono interdipendenze e si sviluppano sinergie, grazie alla piena responsabilizzazione di tutti gli operatori?

A nostro avviso è proprio dalla mancata risposta a queste complesse domande e da un mancato processo di vera trasformazione che discendono molti dei probelmi riscontrati nella Casa della Salute Navile. Il solo trasloco dei servizi, la targa e il nome, e nemmeno un edificio nuovo di zecca (e già pieno di problemi!) bastano per fare una vera Casa della Salute.

Vero, la rampa per le carrozzine richiede doppia manovra. Vero, la doccia per i pazienti di fisioterapia ha una entrata tanto stretta che occorre non esser neppure un pelino grassottelli, e poi occorre esser pure un poco atletici (in fisioterapia!) per entrare in una vasca senza maniglie e con lo scalino di accesso altissimo. Vero, gli ambulatori son tanto piccoli che il medico deve alzarsi quando entra un paziente in carrozzina, non per accoglierlo, ma per farlo passare. Vero, vero, vere queste e le cose dette nell’articolo e cento altre, ivi compresi l’accesso e il parcheggio.

Ma la luna è: se è mancata la piena responsabilizzazione di tutti gli operatori al momento di sborsare 12 milioni di euro, in sede di progettazione della struttura, credete che sia così facile farla nascere ora, quando basterebbe qualche migliaio di euro per avviare un processo di coprogettazione che non solo potrebbe facilmente risolvere le mille e mille imperfezioni di un avvio, ma che dovrebbe – soprattutto! Di più: è il requisito vincolante ed indispensabile di una Casa della Salute – veder operatori e associazioni e semplici cittadini compartecipi ad un board di coprogettazione dei servizi e delle priorità territoriali?

Nonostante tutto non demordiamo e continuiamo a lavorare perché la trasformazione si compia.
Per questo abbiamo contribuito alla nascita di un gruppo di lavoro in seno alla Commissione Welfare di Comunità e Sport del Quarteire Navile per il monitoraggio della struttura e l’implementazione di azioni positive per la costruzione della rete tra operatori e territorio. Ieri il primo sopralluogo del gruppo di lavoro ha segnalato criticità al dott. Trevisani Direttore del Distretto Città di Bologna.
Il gruppo di lavoro, composto da cittadini e cittadine, associazioni, operatori, oltre che dai Consiglieri di Quartiere, procederà innanzitutto a tre momenti di approfondimento su accesso alla struttura, accoglienza dei cittadini e comunicazione. In autunno abbiamo chiesto l’aggiornamento di un udienza conoscitiva in merito presso al Commissione consiliare Sanità e Welfare del Comune di Bologna.

Rassegna stampa

Qualche foto della struttura di via Svampa