“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone – #riapriamolábas ”, era questa la scritta scelta dagli attivisti di Làbas per lo striscione che campeggiava sulla grande Assemblea pubblica #RiapriAMOLàbas di mercoledì scorso in piazza del Baraccano.
Non è mia intenzione parlare di ciò che si è detto in quell’assemblea, cui abbiamo partecipato – unici componenti del Consiglio Comunale – io ed Emily Clancy, insieme ad altre 1000 persone, soprattutto giovani, convocate il 30 di agosto dal tramonto alla mezzanotte.Vorrei riflettere, e chiedervi di riflettere, sul messaggio affidato a quello striscione – evidentemente il più importante, per gli attivisti di Lábas – nonché di ragionare su quanti, dentro e fuori Bologna, hanno colto quel messaggio e, soprattutto, sul perché lo hanno colto. Se io utilizzassi questo mio intervento per schierare Coalizione Civica Bologna con Làbas, senza se e senza ma, ciò potrebbe forse servire a noi, visto l’enorme consenso che oggi circonda Làbas (nessuno lo sa meglio del Sindaco Virginio Merola e di tanti consiglieri del PD…e chi avesse dubbi potrà diradarli il 9 settembre, durante RiapriamoLàbas – Grande Manifestazione, appuntamento che mi aspetto sorprendente), ma non servirebbe alla città. Invece noi crediamo che attorno alla vicenda di Làbas si stia giocando una partita importante per il futuro della città. Sia per ciò che Làbas è, nella materialità e concretezza della sua progettualità politica, sociale e culturale, sia per ciò che Làbas rappresenta in metafora: per ciò che Làbas rappresenta “oltre Làbas”.
Il messaggio, la frase, molto nota, è quella con cui Italo Calvino conclude la descrizione di Despina, una delle sue città invisibili: iscritta nella sezione de “Le città e il desiderio” , Despina è città di confine, raggiungibile solo via mare o via deserto. Al cammelliere, che la raggiunge dal deserto di terra e sabbia, la città appare con la forma di una nave: “un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare…” ; al marinaio, che la raggiunge dal deserto d’acqua salata, appare con la forma di un cammello: “un cammello dal cui busto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare” , scrive Calvino.Attenzione però a non fraintendere il messaggio: Despina non è Làbas.Semmai Labas è un cannocchiale – non l’unico, non necessariamente il migliore – per “avvicinare” la città possibile. L’occasione – non l’unica, ma per certo una buona e preziosa occasione – di guardare la città, questa nostra città, come fosse Despina.
Insomma, ogni città è qualcosa di più del singolo sguardo con cui ogni viandante, passante o cittadino decide di coglierne uno scorcio ed inserirlo nel proprio microcosmo: la città trae la propria essenza più profonda dalla capacità di chi la vive e la attraversa di andare oltre il proprio punto di vista, includendolo nell’insieme delle prospettive comuni.
Quanta fiducia e quante aspettative su Bologna, da parte degli attivisti di Làbas! E quanto è raro vedere tanta fiducia e tante aspettative in una comunità cosi giovane, al tempo delle giovani generazioni senza futuro, della “post-democrazia” (come l’ha chiamata anche Carlo Galli), della crisi della politica e della rappresentanza, della crisi dei corpi intermedi tradizionali, con cui si misurano la forma partito, la forma sindacato, le forme tradizionali dell’associazionismo…di cui ha scritto fino a ieri anche Stefano Bonaga.
Quanti sguardi su Làbas! Tanti ed insospettabili hanno preso parola per Làbas e per la continuità di quell’esperienza. Lo ha fatto Libera, tutta la Cgil di Bologna e dell’Emilia Romagna e persino la Fiom nazionale, l’Arci, il mondo cattolico, tante personalità e tanti luoghi di Bologna di cui l’amministrazione della città va fiera. Come mai ciò è accaduto? È accaduto perché Libera – che della battaglia per la legalità ha fatto la sua missione fondamentale – ha dimenticato la legalità? Perché la legalità e le regole non contano più per i corpi intermedi che ho nominato, con le rispettive storie che meglio di me conoscete?
No. Non è così. La verità è un’altra. La verità è che tutti questi soggetti hanno accolto (o anticipato) l’invito ad “evitare frasi fatte” formulato da un intellettuale come Franco Farinelli il quale, in un editoriale del Corriere di Bologna pubblicato alla vigilia dell’incontro tra il Sindaco e gli attivisti, rammentava il carattere esemplare della vicenda Labas e delle contraddizioni che si porta dentro, precisando che la sua soluzione, in un senso o nell’altro, “deciderà di qui in avanti della natura dell’intera vita cittadina…la natura stessa dell’organismo urbano bolognese” . E già: organismo. Una città – come ha detto il vescovo di Rieti parlando delle rovine di Amatrice – “è fatta dell’ingegno e della passione” di chi ci vive, “più che delle sue mura e delle sue vie”. Una città, con i cambiamenti continui del suo corpo e delle sua morfologia, è un vero e proprio organismo vivente: peraltro, “ l’unico essere vivente che può ringiovanire” , fa notare Attali.
Ebbene, Lábas ha fatto ringiovanire il quartiere Santo Stefano; gli ha consegnato una temporalità diversa: non credo esista, in tutto il quartiere, un rito collettivo che abbia la medesima ampiezza e trasversalità del mercoledì di Lábas. Sicché, discutendo di Labas, della Staveco e di una soluzione ponte che assicuri la continuità – e dunque la sopravvivenza di Labas – noi, in fondo, stiamo stabilendo in qual misura il termine “rigenerazione urbana” (oggi molto in voga) possa estendersi – direbbe Farinelli – “dagli edifici ai rapporti umani e alle nuove forme di cittadinanza”.
Esagero? Se esagerassi, perché tanta enfasi, nelle prese di posizione dei mondi che ho evocato?
Tutti conoscono il diritto di proprietà e tutti sanno che questa esperienza è nata da un’occupazione di una ex caserma in disuso. Ma sanno anche che la Costituzione, a differenza dello Statuto Albertino, che tutelava su tutti i poteri del proprietario, tutela innanzitutto la “dignità della persona umana”, e, “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia come membro delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.).
Tra i poteri riconosciuti dal Codice Civile al proprietario privato, il potere di “godere” e il potere di “disporre”, CDP, ha interesse a far valere quest’ultimo: è una persona giuridica che svolge un’attività di compravendita o di locazione, un’attività cioè di “disposizione” della cosa, sicché ci troviamo nel campo della “iniziativa economica privata”, di cui parla l’art. 41: quella che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. A questo punto – direbbe Paolo Maddalena, Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale, che lo ha scritto a proposito di un recente sgombero messo in atto nel comune di Roma – si tratta di ponderare attentamente quale interesse debba prevalere, poiché di fronte all’interesse economico del proprietario si stagliano i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” garantiti dall’art. 2 Cost. È sempre Paolo Maddalena a ricordare che le Autorità (la parola viene dal latino “augere”, che significa “far crescere”, a differenza della parola “potestas”, che significa “potere” e, dunque, sacrificare) devono “attuare la vigente Costituzione” e non lo Statuto albertino, in base al quale fu scritto il nostro codice civile. Noi abbiamo una sfida nel campo del diritto, dell’urbanistica e della politica di fronte a noi: adattare gli strumenti giuridici e amministrativi di cui disponiamo alle forme di vita di cui riconosciamo il valore. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone. Abbiamo questa settimana per trovare una soluzione ed impedire l’avanzata del deserto.
Lo dobbiamo a Lábas , ma lo dobbiamo soprattutto al quartiere Santo Stefano, alla città di Bologna ed a noi stessi in quanto amministratori e cittadini.
(Foto Gianluca Perticoni )