Ebbene, della loro irresponsabilità vorrei dire, qui ed ora, perché la banalità del male ha sempre molti padri: più o meno consapevoli, più o meno insospettabili.
C’è fascismo quando l’odio cieco prevale su tutto, insegna la Arendt.
Ecco. Siamo, immersi nella cecità, sul ciglio del burrone dell’odio razziale, pronti a caderci dentro.
Le parole che pronunciamo sono fuori dalla pancia del paese?
Se fosse, non importa.
Interveniamo perché rimanga una traccia di chi ha resistito. Di chi ha detto io no, non nel mio nome.
Perché rimanga uno spiraglio, nel buio, come quello che si è aperto con la manifestazione di sabato a Macerata.
Non un passo indietro nell’antifascismo, che non è una delle due fazioni in lotta, nella notte in cui tutte le vacche sono nere.’
Perché questo titolo? Perché ne’ “La banalità del male”, Hanna Arendt si occupa della genesi del male del totalitarismo, più che della sua manifestazione.
È in corso, da giorni, un processo di fascistizzazione inquietante del dibattito pubblico, cui le principali forze politiche non mancano di dare il proprio contributo.
Ebbene, della loro irresponsabilità vorrei dire, qui ed ora, perché la banalità del male ha sempre molti padri: più o meno consapevoli, più o meno insospettabili.
Pensavo, sbagliando, che, nella città dove ho scelto di vivere e nel Paese in cui sono nato, se un fascista prende una pistola e spara a 11 persone perché sono nere e poi si scopre che era candidato nelle fila di un partito in corsa per le elezioni politiche, e se un altro candidato di punta di quel medesimo partito, che è anche un servitore dello Stato, paragona quegli spari su persone inermi allo sradicamento degli autovelox, perché l’una e l’altra sono condotte sbagliate, ma dettate dall’esasperazione, innanzitutto quel candidato deve dimettersi dalle funzioni che ricopre, e poi quel partito crolla nei consensi e deve compiere un’enorme fatica per prendere le distanze da questi eventi e queste dichiarazioni.
E invece no. Talvolta ho persino l’impressione che l’etno-nazionalismo di Matteo Salvini, xenofobo e, dunque, al fondo, fascista, stia facendo egemonia, quando attribuisce le colpe della tragedia di Macerata all’immigrazione e a chi l’avrebbe favorita: «È chiaro ed evidente – ha detto Salvini – che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale». Attenzione, ribadisco: “allo scontro sociale”.
Ad aiutarlo, più o meno consapevolmente, giungono i principali politici italiani, siano essi pentastellati e di centro sinistra: tutti assecondano l’onda, sperando, in maniera demenziale di non esserne travolti: così Luigi Di Maio, quando alterna gli appelli al silenzio sui fatti di Macerata ai post sull’immigrazione come “bomba sociale fuori controllo” per colpa di Berlusconi e del centro sinistra; così il Segretario del PD Matteo Renzi e il ministro Minniti quando, commentando gli spari di Traini a Macerata, dicono – come ha fatto Renzi – che “non sono i pistoleri a garantire la sicurezza in Italia” o – come ha fatto Minniti – che è “un fatto “inaccettabile perché in una democrazia non è consentito a nessuno di farsi giustizia da solo”.
Ebbene questi nostri politici italiani sono degli irresponsabili, perché avallano un collegamento, che ovviamente non esiste, tra il massacro del corpo di una ragazza ad opera di uno spacciatore nigeriano e la presenza di donne, uomini e bambini africani in Italia.
E non appaiono troppo distanti dalle dichiarazioni di Berlusconi che, dicendosi perfettamente d’accordo con Salvini, promette l’espulsione di 600.000 migranti. Certo, Minniti ha aggiunto che “in questo caso non c’è nulla che possa richiamarci ad un’idea di giustizia”. Ma mentre il primo pezzo del ragionamento passa in un’opinione pubblica stordita dal mantra recitato dagli imprenditori della paura, siano essi politici o giornalisti, tanto da comparire in tutti gli occhielli degli articoli pubblicati da note testate, il secondo concetto, benché auto-evidente, resta in ombra: per metterlo in luce, temo non sia bastato neppure un corteo di 30mila persone giunte da tutta Italia in una piccola città di provincia, difficile da raggiungere, dopo l’invito a rinunciare alla manifestazione “per lasciare in pace una comunità”, visto che si preferisce parlare, da parte di qualcuno, di un coro di quattro perfetti deficienti, che hanno ben pensato d’inneggiare alle foibe nel giorno della memoria. Dopo i fatti di Macerata “espelleremo 600 mila migranti”, dice Berlusconi. “Come se chiedessimo di espellere dall’Italia 650.000 tramvieri italiani perché uno di loro ha accoltellato un’altra donna nemmeno ventenne”, ha giustamente osservato una studiosa come Alessandra Sciurba .
“Servirebbe rispondere ancora e ancora che quasi tutte le violenze sulle donne sono ad opera di mariti figli fratelli colleghi italiani?” – si chiede ancora la studiosa palermitana. “Servirebbe rispondere che i reati per cui sono in carcere quasi tutti i migranti sono reati minori per cui un italiano in carcere non ci finirebbe nemmeno?”
No, non servirebbe, perché sarebbe un dato razionale”. E, invece, quando ascendono i fascismi, la coscienza collettiva discende agli inferi e affoga bel buio, sicché, ciò che viene svalutata è propria la razionalità, la logica, la consequenzialità degli eventi e della loro lettura.
C’è fascismo quando l’odio cieco prevale su tutto, insegna la Arendt.
Ecco. Siamo, immersi nella cecità, sul ciglio del burrone dell’odio razziale, pronti a caderci dentro.
Le parole che pronunciamo sono fuori dalla pancia del paese? Se fosse, non importa. Interveniamo perché rimanga una traccia di chi ha resistito. Di chi ha detto io no, non nel mio nome.
Perché rimanga uno spiraglio, nel buio, come quello che si è aperto con la manifestazione di sabato a Macerata.
Non un passo indietro nell’antifascismo, che non è una delle due fazioni in lotta, nella notte in cui tutte le vacche sono nere.
Vorrei chiudere quest’intervento con qualche verso di una poesia di Andrea Ivaz Melis, censurata da Facebook la scorsa estate, spingendo il poeta cagliaritano ad affermare che “il pregiudizio è come il cemento rapido: prende subito e facilmente una forma indistruttibile senza concedere tempo e contro la quale cultura e ragione, figlie nobili del tempo, sembrano piume impotenti”.
‘Ma dimmi tu questi negri che vengono a prendersi per disperazione ciò che noi ci prendemmo con la violenza, la spada e la croce santa, lasciandoci dietro solo disperazione
(…)
Ma dimmi tu questi negri che attraversano il mare come se fosse messo lì per viaggiare e non per tenerli lontani, per galleggiare e non per affondare, per andare e non per tornare
(…)
Ma dimmi tu questi negri che non rispettano i confini della nostra ignoranza e i muri della nostra paura”