« All’incerto panorama delle amministrative 2021 vorrei rispondere mettendo al centro una discussione collettiva sui temi, immaginando scenari e soluzioni nuove, all’altezza delle grandi emergenze. Cruciali i prossimi dieci anni: saranno quelli che aumentano esponenzialmente le disuguaglianze o quelli che si danno l’obiettivo primario di combatterle. Lancio una sfida all’area progressista e ecologista: creiamo un’agenda politica per le prossime generazioni e portiamola al governo della città».

Ringrazio il Cantiere Bologna per aver voluto ospitare una mia riflessione sulle prossime elezioni amministrative e per aver creato un luogo di dibattito in città.
Vi chiedo di dedicare pochi minuti alla lettura di questo articolo
Parliamone!


Oggi come non mai abbiamo bisogno di rifuggire il politicismo e di fare Politica partendo dalle città: Bologna, Milano, Roma, Napoli, Torino. Sono le città a dover (re)inventare la Politica, trasformando la crisi in opportunità.

La pandemia e la crisi sociosanitaria e economica a essa legata hanno messo a nudo le storture del nostro sistema. Non possiamo accettare che quei problemi siano visibili solo ora che vengono amplificati dalle crisi. Queste possono colpire tutti, ma più duramente prostrano chi già vive ogni giorno le disuguaglianze sulla propria pelle. Dobbiamo quindi interrogarci su come rendere Bologna la città meno diseguale d’Europa.

Serve invertire la rotta della privatizzazione della sanità e dare sostanza a quanto è stato spesso annunciato e mai praticato: una medicina di prossimità, che lavori sulla prevenzione e faccia rete con i servizi sociali del territorio, perché la salute è un diritto universale su cui non si fa profitto.

Serve riconoscere quanto fosse sbagliato il modello della città degli aperitivi in centro e del turismo la cui ricchezza non veniva redistribuita. Il turismo fa bene se è sostenibile, se crea lavoro e non sfruttamento, se non intacca il diritto alla casa.

Invece nell’arco di due mandati Bologna è salita sul podio delle città italiane per costo dell’affitto: serve un grande piano di rilancio dell’abitare pubblico a prezzi calmierati. La casa è necessaria in senso lato: non dimentichiamo le decine di sgomberi che hanno sradicato persone in carne e ossa, ma anche esperienze di cultura, politica, pensiero critico e mutualismo.

Serve dare davvero “priorità alla scuola”, la Scuola della Costituzione, l’unico grande equalizzatore di opportunità. Investiamo nella sua edilizia, nelle assunzioni, nel sostegno. È la comunità più forte che ci sia, solida radice di una società meticcia.

La crisi ambientale e climatica ci impone di agire nella prossima decade per evitare il punto di non-ritorno, cercando soluzioni radicali e di lungo periodo che superino le scadenze elettorali. La Commissione Europea ha lanciato un programma per selezionare 100 città europee che hanno l’ambizione di diventare carbon neutral, completamente neutre dal punto di vista delle emissioni.

Bologna, tra le città più inquinate del continente, deve essere tra quelle 100 città: ripensando il trasporto pubblico e completando la sua mobilità sostenibile, rivedendo i consumi di energia nel patrimonio pubblico, rigenerando le ex aree militari senza consumare suolo, dismettendo le grandi infrastrutture inquinanti.

Agire ora significa costruire la famosa città dei quindici minuti, quella in cui si possono raggiungere i principali servizi e i luoghi della vita culturale e sociale entro un quarto d’ora dalla propria abitazione, che si viva in periferia o in centro storico.

Significa de-costruire un modello di città basato sul cittadino maschio, bianco, cisgender, adulto. Perché quello di cui abbiamo bisogno è una città femminista, attraversabile da tutti i generi, dai corpi abili e disabili, di ogni provenienza geografica, dai bambini come dagli anziani.

Se Bologna non riuscirà a rimanere attrattiva per chi sceglie di viverci, nei prossimi 15 anni è destinata a perdere 70.000 cittadini e cittadine. Il demografo Gianluigi Bovini, ex dirigente dell’ufficio statistica del Comune di Bologna, ce l’ha ben raccontato: solo nei tre mesi del lockdown, 1.300 bolognesi hanno lasciato la città definitivamente.

Ecco, mi sarei aspettata che negli ultimi sei mesi si discutesse di questo, anziché di un totonomi. È proprio per parlare di temi che Coalizione Civica ha promosso Metropolis, Bologna 2030 e che le nostre assemblee da sempre sono pubbliche e aperte alla città. Vi invito a quella di domani.

Il nostro intento è di uscire dagli steccati identitari – persino dai rassicuranti confini della nostra comunità – e confrontarci con la città per costruire insieme l’agenda politica per le prossime generazioni.

Non voglio eludere il nodo del posizionamento politico di Coalizione Civica, al contrario lancio una sfida alle compagne e ai compagni dell’area progressista ed ecologista, dentro e fuori dalla mia formazione: troviamo insieme la strategia che ci consenta di portare quell’agenda al governo della città. Non è una scelta semplice o scontata e non lo faremo ad ogni condizione, ma una cosa è certa: solo insieme non saremo subalterni al partito che attualmente governa la città.

In questi mesi non ho capito che visione di città proponga il Partito democratico, invece conosco bene i temi che uniscono il nostro fronte, quello che ha fatto della sfida ambientale e del nuovo egualitarismo la sua ragione sociale.

Non è più il tempo di una politica in cui le decisioni vengono prese da pochi, chiusi in una stanza. Non è il tempo del civismo per tutte le stagioni o delle coalizioni che tengono dentro tutto e il contrario di tutto ma nemmeno quello di rifiutare un confronto, se parte da una premessa di proposte politiche nette e radicali.

È tempo di dare valore alla politica dal basso, riconoscere una qualità profonda nel livello di analisi e visione dell’associazionismo bolognese, fare in modo che le reti che lo compongono si autorappresentino e governino la città, per rispondere alle grandi sfide del nostro tempo con una grammatica radicale, progressista, innovativa. Questo è il nostro tempo.

Non torneremo alla normalità, perché quella che prima della pandemia chiamavamo normalità era il problema. Costruiamone insieme una migliore.