Intervento della Consigliera Emily Clancy – Coalizione Civica per Bologna
Tornelli sì, tornelli no. Con il CUA o contro il CUA. Studenti veri che studiano, studenti falsi nullafacenti.
Questo è il tipo di polarizzazione del dibattito, di visione così ciecamente binaria a cui si è giunti dopo quattro giorni di acceso confronto.
Sia chiaro, il fatto che vi sia dibattito lo trovo di per sé positivo. Ma facciamo un dibattito vero, è questo di cui la città ha bisogno come il pane. Il bianco e il nero, come sapete, non racchiude la verità.
Chiediamoci questo: qual è la nostra idea di sicurezza? Per me è non lasciare nessuno da solo, non marginalizzare chi è diverso, creare unione e non divisione.
Come pensiamo l’università? Per me non come il “modello privato” una cittadella chiusa, separata dal resto della città, di cui sono esclusivi fruitori gli studenti che pagano le tasse. Per me l’università è la culla dei saperi, casa di cultura, in cui sentirsi protetti e liberi da ogni discriminazione o persecuzione. Un luogo che si mescola con la città anche fisicamente, anche per la sua ubicazione, perché ne é parte integrante. Un luogo in cui si dovrebbe produrre sapere, opinioni informate, un luogo in cui si dovrebbe elevare il dibattito. Questa città deve molta della sua storia all’università.
In questi giorni si è formato un calderone di attacchi, difese, prese di distanza da cui è difficile districarsi. Ma è nostro dovere farlo. Ho parlato con tutti coloro con cui ho avuto occasione: dagli studenti ai lavoratori della biblioteca e credo che la questione sia incredibilmente più ampia di come la si sta provando a ridurre.
Nella nostra società si viola la Costituzione ogni giorno, ma vi dirò di più: siamo anche noi a violarla. Tutti noi conosciamo il famoso adagio di Kennedy: non chiederti cosa può fare il tuo paese
per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. E’ una frase bellissima ed è quanto mai vera. Ma non abbiamo bisogno di scomodare JFK per riflettere su questo principio. E’ cristallizzato nella nostra Costituzione.
Art. 4 della Costituzione Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Cosa c’entra, vi starete chiedendo. Penso che sia il nodo focale del problema. Certo, s’intende attività in quanto lavoro, ma il concetto è molto più alto. Significa che è dovere di ognuno di noi concorrere al progresso spirituale o materiale della società che viviamo ogni giorno da cittadini.
E io credo che l’imbarbarimento culturale del dibattito di questi giorni e la stessa vicenda di cui si è tanto dibattuto abbia molto a che fare con la deresponsabilizzazione della società.
Siamo sempre più connessi ma siamo sempre più soli. Siamo sempre più vicini ma siamo sempre più distanti, alienati quasi. Assistiamo impassibili a forme di violenza e prevaricazione, in ogni sua declinazione: sessismo, razzismo, omofobia. Avrete visto i video degli esperimenti sociali che si fanno per le nostre città, in cui la violenza verbale o anche fisica tra le più violenta in 9 casi su dieci incontra esclusivamente l’indifferenza.
Questo per dire che a mio parere, la soluzione al degrado non è invocare la sicurezza. La soluzione alle tossicodipendenze non è allontanare il tossico e marginalizzarlo. Forse così non lo vedremo più sotto casa nostra, ma non è che se abbiamo un bel centro spostiamo i problemi in periferia o magari fuori dalla città con un bel daspo urbano allora smettono di esistere. Esistono, e noi non abbiamo fatto nulla perché cessassero, semplicemente ce ne siamo lavato le mani. Ma noi abbiamo il dovere di rappresentare tutti, non solo “i giusti” “i degni” “i buoni”.
E lo voglio dire chiaramente: le istituzioni, l’università, le articolazioni di sicurezza dello Stato, dovrebbero invece rappresentarmi. E vorrei separare le opinioni sul caso specifico dei tornelli e dell’apertura, tutte legittime, da un fatto: mentre una protesta, i suoi motivi fondanti, le sue modalità mi possono rappresentare, come possono non farlo, mi possono appartenere, come possono non farlo, le istituzioni invece mi devono rappresentare, e come me devono rappresentare tutti. Per questo motivo credo non ci si possa esimere dal dire che l’immagine inedita della celere in tenuta antisommossa in una biblioteca contro dei ragazzi non armati sia da condannare fermamente.
La violenza incita la violenza, il non rispetto incita il non rispetto, ha detto qualcuno recentemente. Non si può decidere che Piazza Verdi è la zona di nessuno, il far west in cui tutto è concesso e tutto succede davanti agli occhi delle forze dell’ordine, e come idea di sicurezza manganellare degli studenti, dei ragazzi non armati nelle aula di uno spazio che dovrebbe essere sacro e intoccabile e sì, di tutti. Perché l’università pubblica si paga sì con le rette ma anche, anzi per l’80 percento, con le tasse dei cittadini.
Il fatto che le organizzazioni degli studenti antagonisti possano avere posizioni settarie è un fatto senza tempo ma non cambia la sostanza del degrado di classe che viene imposto da decenni all’Università. Una protesta può essere più o meno condivisa, soprattutto perché il suo esito è di dividere gli studenti. Ma non posso essere favorevole all’istituzionalizzazione della violenza. Voglio esprimere la mia solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici della biblioteca, delle studentesse e degli studenti colpiti negli scontri, di tutti coloro che hanno vissuto situazioni spiacevoli al 36.
Pagate il prezzo del fallimento di noi tutti, società e istituzioni.
Spero potremo essere capaci di prendere in mano la nostra vita e la nostra città. Occupiamoci dei nostri spazi, popoliamoli, viviamoli, denunciamo gli episodi di violenza, agiamo attivamente quando li vediamo con i nostri occhi.
Vi prego, cittadini, colleghi, autorità. Nell’epoca della crisi dei corpi intermedi e della rappresentanza, non possiamo più tacere. Abbiamo un dovere, civico: parlare di zona universitaria, tutti insieme, coinvolgendo ogni soggetto. Non si può sedare una protesta con i manganelli, come non si può stigmatizzare un punto di vista diverso dal nostro. L’abbiamo chiesto qui più volte con vari ordini del giorno bocciati, ma torno a ripeterlo: apriamo un ragionamento condiviso. È fondamentale aprire un vero percorso partecipativo che permetta una vera e proficua interlocuzione tra coloro che animano la zona universitaria.
Emily Clancy